Languages

Resíduos do humano: experiência e linguagem  na literatura italiana das últimas décadas

Seminário Internacional dedicado à literatura italiana das últimas décadas.

Dia 22.06.2016 - Sala Drummond/Centro de Comunicação e Expressão (CCE)


8h30 - 12h00 - Mesa-redonda I


“Voci portate da qualcosa”. La solitudine del linguaggio
 Prof. Enrico Testa (Univ. Genova)

 Un grido e paesaggi: riletture
 Profa. Lucia Wataghin (USP) 



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     «O perduto perduto perduto discorso»: resistenze e crolli della parola poetica nell’epoca dell’uomo “a una dimensione” (poesie tristi alla poesia di Bodini, Zanzotto, Wilcock, Ripellino)
Prof. Andrea Gialloreto (UNICH)


 La lingua morta della letteratura.  Manganelli, Wilcock e dintorni
 Prof. Andrea Santurbano (UFSC)



14h30 - 17h00 - Mesa-redonda II



       
«Nemico della realtà mai!». Per Pasolini
  Prof. Fabio Pierangeli (Univ. Roma)

         
                    La 'traduzione' della parola nella poetica corporizzata di Rina Sara Virgillito     
  Prof. Sergio Romanelli (UFSC)


 Rovine, scritture in negativo
 Profa. Patricia Peterle (UFSC)



----- Abstracts -----


         Andrea Gialloreto - «O perduto perduto perduto discorso»: resistenze e crolli  della parola poetica nell’epoca dell’uomo “a una dimensione” (poesie tristi  alla poesia di Bodini, Zanzotto, Wilcock, Ripellino)

     Tra gli anni Sessanta e i Settanta, nella fase economica dominata dal tardo capitalismo e  investita dai primi segni di crisi dell’assetto culturale e produttivo (il modello del boom e  dell’integrazione di cui gli intellettuali iniziano a cogliere i riflessi sul piano delle coscienze e  dei sintomi di alienazione), la poesia rivaleggia con il romanzo nel prospettare scenari  apocalittici e di disintegrazione del senso, da un lato concentrandosi sulle proprie residue  possibilità di rivelazione, di straniamento e di deformazione in chiave critica del reale,  dall’altro sperimentando inedite torsioni per una lingua sliricata o fastosa, portatrice delle  contraddizioni e degli azzardi che ogni operazione di ristrutturazione e rinnovamento dei  codici espressivi comporta. Gli autori presi in esame, diversamente dai poeti novissimi e da  quelli engagés, sentono di muoversi in una condizione postuma della letteratura, spazio di  autonomia assoluta entro il quale il linguaggio tenta giochi funambolici, riaggregazioni e  contaminazioni, nella consapevolezza di celebrare i cerimoniali di una sfida mortale  (collocandosi tra destino del singolo e orizzonte sociale, tra «la parola morte» e la morte  della parola).


       Andrea Santurbano - La lingua morta della letteratura. Manganelli, Wilcock e dintorni  
            
      Attraverso un reticolato teorico e tematico, che comprende autori quali Landolfi, Delfini, Wilcock, Manganelli e Blanchot, si vogliono ripensare spazi letterari in cui le parole s’imbattono nella loro insignificanza, perdendosi in farfugliamenti, vaniloqui e silenzi, oppure facendosi straniere e incomprensibili. Sospesi un passo “al di là”, sulla soglia di una narrazione che non è più relazione di fatti, bensì centro di forza in cui il linguaggio ha sempre la possibilità di un nuovo inizio, questi stessi luoghi traccerebbero piuttosto la possibilità per la letteratura di differirsi in un movimento continuo contiguo all’(in)esperienza di morte.


      Enrico Testa - “Voci portate da qualcosa”. La solitudine del linguaggio

      Una rapida esposizione critica del pensiero novecentesco sui limiti del linguaggio attraverso esempi tratti dall’opera di pensatori (Blanchot, Foucault, Steiner), poeti (Sereni, Caproni, Celan) e narratori recenti (Tabucchi, Celati). Una serie di ‘campioni’ che verrà però posta in dialettico rapporto con posizioni diverse quali sono rappresentate da alcuni poeti (ad esempio Luzi) e da filosofi come Levinas.


      Fabio Pierangeli  - «Nemico della realtà mai!». Per Pasolini

I    Il dono e la condanna di una interrogazione abissale accompagnano l’opera e la vita di Pier Paolo Pasolini, interrotta in modo orrendo a soli cinquantatré anni. Ha divorato la vita con maggior avidità: rientra nella logica dei fatti morire ancor «giovane», aveva scritto di se stesso.
     A quarant’anni di distanza dalla tragica morte, l’eco della domanda va ben oltre la fine (l’immagine conclusiva di Teorema), più attuale del desiderio narcisistico, dello scandalo, dell’atteggiamento polemico che pur la muovono, costituendone elementi necessari. L’urlo che deforma i lineamenti nel parossismo e nella intensità, come il corpo caduto da cavallo e trascinato sulla strada polverosa e sulla pietre si contrappone, figurale contrappasso, al vuoto volgare intravisto nei giovani dalla metà degli anni Sessanta in poi. Nel linguaggio e nel corpo.
   Pasolini ha scontato con l’atroce morte la presunta ignavia dei ragazzi, la «paurosa» assenza di desiderio, di creatività, di inizialità, che ha nell’appiattimento del linguaggio (un balbettio informe e uniforme) uno dei risultati più dissacranti, orrendi e inaccettabili per il poeta. Il problema linguistico e quello antropologico sono dunque inseparabili nell’idea di genocidio che il poeta ha disegnato nei suoi ultimi anni di vita.
     Paradossalmente nella età dell’edoné, del piacere, del consumismo che ha sostituito l’età della pietà (la società millenaria pre-industriale) non si hanno desideri se non quelli omologati e «borghesi», imposti uniformemente dalla società.
     Il sottoscritto poteva essere uno di quegli adolescenti della prima metà degli anni Settanta investiti dalle furiose, disperate, invettive dello scrittore corsaro e luterano che intravedeva un passaggio storico avvenire in quegli anni:«È stata la televisione che ha, praticamente, (essa non è che un mezzo) concluso l’età della pietà, e iniziato l’era dell’edonè». Aveva ragione Pasolini, da un punto di vista intellettuale, artistico, linguistico a “prendersela con i giovani”, quelli che negli anni successivi hanno costruito l’Italia?
     L’intervento cercherà una risposta a queste interrogazioni, accennando brevemente all’opera di Eraldo Affinati, scrittore nato a Roma nel 1956, appartenente dunque, pienamente, a quella generazione così ostinatamente e duramente criticata da Pasolini eppure capace di un impegno letterario e umano di rilievo assoluto.


      Lucia Wataghin - Un grido e paesaggi: riletture

      Si propone in questo intervento una breve rilettura dell'ungarettiano Un grido e paesaggi, di cui abbiamo curato l'edizione bilingue in Brasile.  Di particolare interesse in Brasile, per i suoi riferimenti al soggiorno del poeta in questo paese, il libro si presenta come sostanzialmente diverso rispetto alla linea centrale, grave e elevata, della poesia di Ungaretti, dal Sentimento del Tempo alla Terra Promessa. In questo intervento si cercherà di mettere in luce il peso avuto dai rapporti con le avanguardie brasiliane nella composizione della raccolta.

    
      Patricia Peterle - Rovine e scritture in negativo

       Le rovine sono, come l’arte, un invito a sentire e percepire il tempo. Tempo questo che ormai non si regge più su una linea ordinata, dominata da Chronos. Il tempo delle macerie è una confluenza di tempi – quelli già stati e quelli che non ci sono più; e basta uno sguardo, un incontro, dovuto sempre ad una esposizione e ad una disposizione, per far scattare una tensione reciproca, una spartizione. Spartizione di silenzi e voci. Aperture che lasciano trasparire spicchi di tempi, di linguaggi, fitti nodi, tensioni di composizioni e montaggi che ci toccano; ed è proprio questo toccare – questo ascoltare – che fa risuonare qualcosa. In tal senso, il linguaggio è lo spazio per eccellenza dell’esporsi; e, se si pensa alla letteratura, essa è uno spazio d’intesa, di presenze, di un confrontarsi, del perdersi e del ritrovarsi (ma non come prima), infine, della nascita e della morte. Quello che interessa è anche il gioco dell’intrecciarsi, dello scambiarsi perfino i ruoli, chissà se nel tentativo di recuperare un’identità già persa e difficile ormai da afferrare o di attestare questa stessa perdita e, di conseguenza, il vuoto lasciato. Rovine quindi di un “io”, la cui unica possibilità è solo quella di pensarsi insieme agli altri; rovine pure di un linguaggio, che solo disarticolandosi, sgretolandosi è capace di “parlare”. A partire da queste considerazioni, si cercherà di proporre una lettura attraverso sentieri poetici che possono caratterizzarsi come scritture in negativo, verso un’esteriorità inappropriabile.


     Sergio Romanelli - La ‘traduzione’ della parola nella poetica corporizzata di Rina Sara Virgillito
             La ‘traduzione’ della parola nella poetica corporizzata di Rina Sara Virgillito


      È davvero un percorso di scintille, come afferma Bulgheroni (2002)quello tracciato nella poesia italiana della seconda metà del ventesimo secolo da Rina Sara Virgillito, poetessa milanese, ma di origini siciliane. In questo intervento traccerò alcune tappe di questo percorso artistico peculiare seguendo la parola corporizzata di Virgillito e soprattutto la sua incarnazione più alta nella raccolta del 1991, Incarnazioni del fuoco, appunto. Il tema del vulcano, della forza allo stesso tempo creativa e distruttiva della parola, vero residuo della percezione frammentaria del reale del poeta, sarà il leitmotiv di questo viaggio che ci condurrà fino al centro della tana di Efesto.


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