8h30 - 12h00 - Mesa-redonda
I
“Voci portate da qualcosa”. La
solitudine del linguaggio
Prof. Enrico Testa (Univ. Genova)
Un grido e paesaggi: riletture
Profa. Lucia Wataghin (USP)
... pausa ...
«O perduto perduto perduto discorso»: resistenze e crolli della parola poetica nell’epoca dell’uomo “a una dimensione” (poesie tristi alla poesia di Bodini, Zanzotto, Wilcock, Ripellino)
Prof. Andrea
Gialloreto (UNICH)
La lingua morta della letteratura. Manganelli, Wilcock e dintorni
Prof. Andrea Santurbano (UFSC)
Prof. Andrea Santurbano (UFSC)
14h30 - 17h00 - Mesa-redonda II
«Nemico della realtà mai!». Per Pasolini
Prof. Fabio Pierangeli (Univ. Roma)
La 'traduzione' della parola nella
poetica corporizzata di Rina Sara Virgillito
Prof. Sergio Romanelli (UFSC)
Rovine, scritture in negativo
Profa. Patricia Peterle (UFSC)----- Abstracts -----
Andrea
Gialloreto - «O
perduto perduto perduto discorso»: resistenze e crolli della parola poetica
nell’epoca dell’uomo “a una dimensione” (poesie tristi alla poesia di Bodini,
Zanzotto, Wilcock, Ripellino)
Tra gli anni Sessanta e i Settanta, nella
fase economica dominata dal tardo capitalismo e investita dai primi segni di
crisi dell’assetto culturale e produttivo (il modello del boom e dell’integrazione di cui gli intellettuali iniziano a cogliere i riflessi sul
piano delle coscienze e dei sintomi di alienazione), la poesia rivaleggia con
il romanzo nel prospettare scenari apocalittici e di disintegrazione del senso,
da un lato concentrandosi sulle proprie residue possibilità di rivelazione, di
straniamento e di deformazione in chiave critica del reale, dall’altro sperimentando
inedite torsioni per una lingua sliricata o fastosa, portatrice delle contraddizioni e degli azzardi che ogni operazione di ristrutturazione e
rinnovamento dei codici espressivi comporta. Gli autori presi in esame,
diversamente dai poeti novissimi e da quelli engagés, sentono di muoversi in
una condizione postuma della letteratura, spazio di autonomia assoluta entro il
quale il linguaggio tenta giochi funambolici, riaggregazioni e contaminazioni,
nella consapevolezza di celebrare i cerimoniali di una sfida mortale (collocandosi tra destino del singolo e orizzonte sociale, tra «la parola
morte» e la morte della parola).
Andrea
Santurbano - La lingua morta della letteratura. Manganelli, Wilcock e dintorni
Attraverso un reticolato teorico e
tematico, che comprende autori quali Landolfi, Delfini, Wilcock, Manganelli e
Blanchot, si vogliono ripensare spazi letterari in cui le parole s’imbattono
nella loro insignificanza, perdendosi in farfugliamenti, vaniloqui e silenzi,
oppure facendosi straniere e incomprensibili. Sospesi un passo “al di là”, sulla
soglia di una narrazione che non è più relazione di fatti, bensì centro di
forza in cui il linguaggio ha sempre la possibilità di un nuovo inizio, questi
stessi luoghi traccerebbero piuttosto la possibilità per la letteratura di
differirsi in un movimento continuo contiguo all’(in)esperienza di morte.
Enrico Testa
- “Voci portate da qualcosa”. La
solitudine del linguaggio
Una rapida esposizione critica del pensiero novecentesco
sui limiti del linguaggio attraverso esempi tratti dall’opera di pensatori
(Blanchot, Foucault, Steiner), poeti (Sereni, Caproni, Celan) e narratori
recenti (Tabucchi, Celati). Una serie di ‘campioni’ che verrà però posta in
dialettico rapporto con posizioni diverse quali sono rappresentate da alcuni
poeti (ad esempio Luzi) e da filosofi come Levinas.
Fabio Pierangeli - «Nemico della realtà mai!». Per Pasolini
I Il dono e la condanna di una
interrogazione abissale accompagnano l’opera e la vita di Pier Paolo Pasolini,
interrotta in modo orrendo a soli cinquantatré anni. Ha divorato la vita con
maggior avidità: rientra nella logica dei fatti morire ancor «giovane», aveva
scritto di se stesso.
A quarant’anni di distanza dalla tragica
morte, l’eco della domanda va ben oltre la fine (l’immagine conclusiva di Teorema), più attuale del desiderio
narcisistico, dello scandalo, dell’atteggiamento polemico che pur la muovono,
costituendone elementi necessari. L’urlo che deforma i lineamenti nel
parossismo e nella intensità, come il corpo caduto da cavallo e trascinato
sulla strada polverosa e sulla pietre si contrappone, figurale contrappasso, al
vuoto volgare intravisto nei giovani dalla metà degli anni Sessanta in poi. Nel
linguaggio e nel corpo.
Pasolini ha scontato con l’atroce morte
la presunta ignavia dei ragazzi, la «paurosa» assenza di desiderio, di
creatività, di inizialità, che ha nell’appiattimento del linguaggio (un
balbettio informe e uniforme) uno dei risultati più dissacranti, orrendi e
inaccettabili per il poeta. Il problema linguistico e quello antropologico sono
dunque inseparabili nell’idea di genocidio che il poeta ha disegnato nei suoi
ultimi anni di vita.
Paradossalmente nella età dell’edoné,
del piacere, del consumismo che ha sostituito l’età della pietà (la società
millenaria pre-industriale) non si hanno desideri se non quelli omologati e
«borghesi», imposti uniformemente dalla società.
Il sottoscritto poteva essere uno di
quegli adolescenti della prima metà degli anni Settanta investiti dalle
furiose, disperate, invettive dello scrittore corsaro e luterano che
intravedeva un passaggio storico avvenire in quegli anni:«È stata la
televisione che ha, praticamente, (essa non è che un mezzo) concluso l’età
della pietà, e iniziato l’era dell’edonè». Aveva ragione Pasolini, da un punto
di vista intellettuale, artistico, linguistico a “prendersela con i giovani”,
quelli che negli anni successivi hanno costruito l’Italia?
L’intervento cercherà una risposta a queste
interrogazioni, accennando brevemente all’opera di Eraldo Affinati, scrittore
nato a Roma nel 1956, appartenente dunque, pienamente, a quella generazione
così ostinatamente e duramente criticata da Pasolini eppure capace di un
impegno letterario e umano di rilievo assoluto.
Lucia Wataghin
- Un grido e paesaggi: riletture
Si propone in questo intervento una breve rilettura
dell'ungarettiano Un grido e paesaggi, di cui abbiamo curato
l'edizione bilingue in Brasile. Di particolare interesse in Brasile, per
i suoi riferimenti al soggiorno del poeta in questo paese, il libro si presenta
come sostanzialmente diverso rispetto alla linea centrale, grave e elevata,
della poesia di Ungaretti, dal Sentimento del Tempo alla Terra
Promessa. In questo intervento si cercherà di mettere in luce il peso
avuto dai rapporti con le avanguardie brasiliane nella composizione della
raccolta.
Patricia Peterle
- Rovine e scritture in negativo
Le rovine sono, come l’arte, un invito a sentire e
percepire il tempo. Tempo questo che ormai non si regge più su una linea
ordinata, dominata da Chronos. Il tempo delle macerie è una confluenza di tempi
– quelli già stati e quelli che non ci sono più; e basta uno sguardo, un
incontro, dovuto sempre ad una esposizione e ad una disposizione, per far
scattare una tensione reciproca, una spartizione. Spartizione di silenzi e
voci. Aperture che lasciano trasparire spicchi di tempi, di linguaggi, fitti
nodi, tensioni di composizioni e montaggi che ci toccano; ed è proprio questo
toccare – questo ascoltare – che fa risuonare qualcosa. In tal senso, il
linguaggio è lo spazio per eccellenza dell’esporsi; e, se si pensa alla
letteratura, essa è uno spazio d’intesa, di presenze, di un confrontarsi, del
perdersi e del ritrovarsi (ma non come prima), infine, della nascita e della
morte. Quello che interessa è anche il gioco dell’intrecciarsi, dello scambiarsi
perfino i ruoli, chissà se nel tentativo di recuperare un’identità già persa e
difficile ormai da afferrare o di attestare questa stessa perdita e, di
conseguenza, il vuoto lasciato. Rovine quindi di un “io”, la cui unica
possibilità è solo quella di pensarsi insieme agli altri; rovine pure di un
linguaggio, che solo disarticolandosi, sgretolandosi è capace di “parlare”. A
partire da queste considerazioni, si cercherà di proporre una lettura
attraverso sentieri poetici che possono caratterizzarsi come scritture in
negativo, verso un’esteriorità inappropriabile.
Sergio Romanelli - La ‘traduzione’
della parola nella poetica corporizzata di Rina Sara Virgillito
La ‘traduzione’ della
parola nella poetica corporizzata di Rina Sara Virgillito
È davvero un percorso di scintille, come afferma Bulgheroni (2002), quello tracciato nella poesia italiana della seconda metà del ventesimo secolo
da Rina Sara Virgillito, poetessa milanese, ma di origini siciliane. In questo
intervento traccerò alcune tappe di questo percorso artistico peculiare
seguendo la parola corporizzata di Virgillito e soprattutto la sua incarnazione
più alta nella raccolta del 1991, Incarnazioni del fuoco, appunto. Il
tema del vulcano, della forza allo stesso tempo creativa e distruttiva della
parola, vero residuo della percezione frammentaria del reale del poeta, sarà il
leitmotiv di questo viaggio che ci condurrà fino al centro della tana di
Efesto.
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